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Azione Revocatoria Ordinaria

Azione Revocatoria Ordinaria: di cosa si tratta e come funziona

Oggi parliamo di azione revocatoria ordinaria e dei recenti principi espressi dalla Corte di Cassazione in ordine alla prova della conoscenza del pregiudizio da parte dei terzi:

A. L’azione revocatoria, disciplinata dall’art.2901 del c.c. è uno strumento giuridico particolarmente  importante, il suo scopo è quello di tutelare gli interessi economici dei creditori che, a determinate condizioni, possono ottenere la dichiarazione di inefficacia degli atti posti in essere da debitori che intendono sottrarre e/o diminuire il proprio patrimonio (cd. garanzia patrimoniale generica) in frode alle ragioni creditorie.

Quali sono le prove da rendere nell’azione revocatoria ordinaria?

B. Il creditore che agisce in via revocatoria dovrà dimostrare che:

  • l’atto compiuto dal debitore arrechi un pregiudizio oggettivo agli interessi del creditore, che deve consistere in una diminuzione quantitativa o qualitativa del patrimonio del debitore su cui, senza quell’atto, avrebbe potuto soddisfarsi (eventus damni);
  • il debitore sia consapevole (elemento soggettivo) che l’atto posto in essere arrechi un pregiudizio alle ragioni del creditore (scientia fraudis);
  • in caso di atto a titolo oneroso, anche il terzo acquirente sia consapevole del pregiudizio arrecato al creditore.

Questi i principali presupposti alla base dell’azione revocatoria ordinaria e che possono essere provati anche mediante l’istituto delle presunzioni.

C. Gli effetti dell’accoglimento dell’azione ex art.2901 c.c.:

Qualora all’esito del giudizio vengano provati i presupposti indicati dall’art.2901 del c.c., il giudice dichiara revocato l’atto dispositivo che, pur restando valido ed efficace erga omnes, non produce effetti nei soli confronti del creditore vittorioso in revocatoria, con la conseguenza che costui potrà aggredire in via esecutiva i beni oggetto dell’atto per il soddisfacimento delle proprie ragioni.

Venendo ai principi espressi dalla Corte di Cassazione in ordine alla prova della conoscenza del pregiudizio:

In linea generale sappiamo che è onere del creditore provare l’esistenza dei requisiti dell’istituto, tuttavia, da alcuni anni nelle pronunce dei giudici di merito si sta assistendo ad uno svuotamento dell’onere della prova nelle cause di revocatoria ordinaria. Non solo, infatti, si è notevolmente allargata la nozione di “credito” di cui all’art. 2901 cod. civ., andando molto oltre i confini di quello “soggetto a condizione o a termine” previsti dalla norma, ma soprattutto si è esteso oltremodo il concetto di “conoscenza del pregiudizio”, ricomprendendosi in esso non solo la “conoscibilità”, ma persino la “mera possibilità teorica di conoscenza”, anche se assai remota e del tutto improbabile. La tendenza, infatti, è, da un lato, ad esaltare oltremodo il presupposto oggettivo (eventus damni), riconoscendosi sempre la sussistenza del pregiudizio in presenza anche di un solo creditore (benché ancora futuro ed ipotetico) di chi trasferisce il bene, e, dall’altro, a svuotare di contenuto quello soggettivo (consilium fraudis). La “conoscenza del pregiudizio” sia in capo al debitore che al terzo, quale essenziale presupposto contemplato dall’art. 2901 cod. civ., viene anzitutto fatta automaticamente coincidere con la “conoscenza dell’esistenza del creditore” che a propria volta viene intesa come “possibilità di conoscere in qualunque modo l’esistenza del creditore”, per cui, essendo sempre teoricamente possibile conoscere l’esistenza del creditore, si finisce per considerare provata per presunzioni la conoscenza del pregiudizio. Il risultato finale è un sostanziale esonero per l’attore dall’onere della prova che l’art.2697 cod. civ.. gli impone. Ebbene tale approccio non appare affatto conforme all’insegnamento della Suprema Corte, perché trascura totalmente la verifica dell’elemento cardine da cui dipende la possibilità di considerare conosciuto o non conosciuto il pregiudizio ai fini della prova nella revocatoria, e cioè il grado di diligenza e lo stato soggettivo in concreto tenuto non solo dal debitore alienante ma anche e soprattutto dal terzo acquirente al momento della conclusione dell’atto.

Affinché, infatti, venga dichiarata l’inefficacia di un atto perché attuato in frode alle ragioni creditorie, oltre al presupposto oggettivo dell’eventus damni, occorre quello soggettivo che si articola nella necessità di fornire due diverse prove, una riferita all’alienante e l’altra all’acquirente. In particolare, a mente dell’art. 2901 cod. civ., per gli atti a titolo oneroso successivi al sorgere del credito, il creditore deve dimostrare:

1) che il debitore conoscesse il pregiudizio che l’atto arrecava alle ragioni del creditore;

2) che, inoltre, trattandosi di atto a titolo oneroso, il terzo fosse consapevole del pregiudizio;

In merito a tale ultima prova, sono illuminanti i principi sintetizzati nella pronunzia del Supremo Collegio, Sez. III, Sent. 22/06/2020, n. 12120. Tale provvedimento dedica ampio spazio proprio al presupposto soggettivo della “scientia fraudis”, evidenziandone anzitutto l’estrema importanza nel contemperamento degli interessi in gioco, in quanto è da esso che dipende se accordare tutela all’interesse del creditore o far prevalere la tutela dell’affidamento del terzo acquirente. Nella citata pronunzia della Cassazione, infatti, si legge: “.. l’azione ex art. 2901 c.c., “costituisce uno strumento di forte impatto sull’autonomia privata a tutela delle ragioni creditorie”, sicché è proprio la necessità di assicurare un loro reciproco contemperamento ad escludere che si possa “basare il presupposto di operatività dell’azione solo su una considerazione oggettiva degli effetti dell’atto”, dovendo, invece, assicurarsi che l’azione revocatoria “rispetti contemporaneamente l’affidamento dei terzi nella conclusione dell’atto. Orbene, la “tutela di tale affidamento trova la sua identificazione in uno stato soggettivo di buona fede… (cfr., nuovamente, Cass. Sez. 3, sent. 9970 del 2008, cit.).)” In secondo luogo, con specifico riferimento alla posizione del terzo acquirente, la sentenza della Cassazione si addentra nel significato da attribuire al requisito della “consapevolezza” del pregiudizio, di cui all’art. 2901 c.c., comma 1, n. 2), prima alinea. Sul punto precisa che, secondo la giurisprudenza del Supremo Collegio “il requisito della “scientia fraudis”” non solo “non richiede, a fini della sua concretizzazione, l’esistenza del dolo (ovverosia la volontà concorrente dell’acquirente del bene, oggetto di successiva revocatoria, diretta a pregiudicare le garanzie ed aspettative di coloro che vantano un credito nei confronti dell’alienante)”, ma “neppure la sua consapevolezza circa la realizzazione probabile di tale pregiudizio, essendo sufficiente, anche, l’esistenza nell’acquirente di un mero comportamento colpevole, rappresentato dalla reale possibilità di conoscenza della situazione fraudolenta desumibile da circostanze oggettive secondo il criterio dell'”id quod plerumque accidit”” (così, in motivazione, Cass. Sez. 1, sent. 9 marzo 1979, n. 1468, Rv. 397798-01). Nondimeno, si è pure precisato come, “ai fini della concretizzazione di detto comportamento colpevole non sia sufficiente l’esistenza di una “culpa levis””,essendo invece “richiesta la concorrenza di quella grave, ovverosia della malafede dell’acquirente” e ciò “considerato il carattere generale, che assume l’art. 1147 c.c., ai fini della determinazione del concetto di malafede, nonché il principio generale informatore della legislazione civile, che salva eccezione, fa riferimento al criterio del dolo e della colpa grave ogni qualvolta si debba risolvere un conflitto di interessi tra le parti negoziali e i terzi ai fini della tutela dell’affidamento dei medesimi nel caso d’inefficacia o invalidità del negozio giuridico (arg. ex artt. 1415, 1445; 1992, 2652 c.c., art. 2901 c.c., u.c., artt.2913 c.c., ecc..)”. Di conseguenza, “l’esistenza della malafede, seppure sotto il profilo della colpa grave, è sufficiente nell’ipotesi di revocatoria – ad escludere ogni fondamento alla tutela del terzo, acquirente del bene, nel caso di suo conflitto con l’interesse del creditore a non veder pregiudicata la funzione di garanzia che i beni del debitore – ex art.2740 – assicurano al proprio credito” (così, nuovamente in motivazione, Cass. Sez. 1, sent.n. 1468 del 1979, cit.).”. Ulteriore punto affrontato dalla sentenza della Cassazione in commento è quello della prova a carico del creditore, avendo evidenziato “.. la necessità che tale mancata conoscenza presenti carattere “colpevole”, sottolineando come “uno degli elementi costitutivi” dell’azione revocatoria, nell’ipotesi di cui all’art. 2901 c.c., comma 1, n. 2), prima alinea, sia “la prova, a carico del creditore, della colpa concreta nella conclusione di un negozio dispositivo di un bene del debitore”, ovvero della “consapevolezza da parte di questi dell’idoneità dell’atto a pregiudicare i diritti dei creditori”, e ciò “in quanto con l’azione revocatoria si esercita una particolare azione di responsabilità aquiliana, mentre la presunzione di buona fede è un principio di carattere generale del nostro ordinamento (art. 12 preleggi, comma 2” (così, in motivazione, Cass.Sez. 3, sent. 14 luglio 2004, n. 13330, Rv,. 574671-01; in termini analoghi, ovvero sulla necessità “della colpa del terzo nella conclusione del negozio dispositivo”, si veda anche Cass. Sez. 3, sent. 21 aprile 2006, n. 9367, Rv. 589343-01).”.

In definitiva, i principi affermati dalla Cassazione possono così riassumersi:

1) “consapevolezza del pregiudizio” in capo al terzo significa, non astratta e teorica, ma concreta e “reale possibilità di conoscenza della situazione fraudolenta”. Essa sussiste se vi sono circostanze oggettive da valutarsi in base al criterio dell'”id quod plerumque accidit”;

2) affinché prevalga la tutela del creditore in revocatoria occorre un contegno di malafede del terzo; esso sussiste sia quando il terzo abbia agito con dolo (acquistando con l’intento di arrecare pregiudizio al creditore), sia quando abbia agito con colpa grave (acquistando con una negligenza inescusabile, che  nessuno, in base all’id quod plerumque accidit, avrebbe tenuto e senza la quale avrebbe potuto conoscere il pregiudizio dell’atto per il creditore). Per converso, la tutela dell’affidamento del terzo prevale su quella del creditore sia nel caso di colpa lieve (quando cioè l’ignoranza del carattere pregiudizievole dell’atto sia dipeso da una negligenza scusabile), sia in assenza di colpa (quando cioè il terzo abbia tenuto un contegno di buona fede, osservando i canoni della normale diligenza). In sintesi se deve escludersi la scientia fraudis in caso di buona fede del terzo, a maggior ragione non può pretendersi dal terzo un comportamento implicante una diligenza superiore alla media;

3) è onere del creditore fornire la prova della colpa concreta ovvero della consapevolezza da parte di questi dell’idoneità dell’atto a pregiudicare i diritti dei creditori

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